Tradizione Spirituale Andina: Consapevolezza e benessere.

Una cosmovisione che conserva una semplicità disarmante e approccia l’esistente da un alto livello di consapevolezza

La Tradizione Spirituale Andina consiste in un’insieme di tecniche energetiche facili da imparare e da eseguire il cui scopo è quello di produrre benessere per il corpo e per la mente, migliorando la relazione con sé stessi e con gli altri.

La Tradizione Andina offre la sapienza e la magia di un percorso fatto di esperienze per migliorare la conoscenza del sè, il proprio benessere e l’ armonia psicofisica attraverso la relazione consapevole con la vita quotidiana, con l’energia della Natura e con gli altri .

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Per la Tradizione Andina l’universo intero e quindi tutte le sue manifestazioni: pianeti, fulmini, mari, laghi, montagne, pietre, alberi, animali, uomini, sono fatti di energia vivente, di “Kausay”; imparare a connetterci in e con essa ci permette di evolvere e diventare consapevoli di noi stessi per poter sviluppare tutte le potenzialità che sono racchiuse in noi. La tradizione andina sostiene che ciascuno di noi viene al mondo con un seme che è chiamato “Seme dell’Inca”.

La tradizione si basa su una cultura legata alla terra, alla natura, all’agricoltura e quindi la metafora del seme vuole raccontare che ognuno possiede un concentrato di potenzialità, ciascuno ha dentro di sé tutte le informazioni per svilupparsi e divenire una splendida pianta. Vivendo in armonia con la Pachamama, la Madre Terra, e godendo della luce del sole, ogni uomo può quindi scegliere di crescere, oltre che fisicamente anche nell’anima (che per gli andini è la mente) e nello spirito. E, quando avrà finito di crescere, morirà.

Seme dell’Inca perché, secondo questa tradizione, l’Inca (nome dell’imperatore del Tawantinsuyo, l’impero incaico, che per poter guidare l’impero, doveva dimostrare di aver raggiunto un determinato livello spirituale) è il massimo livello di evoluzione raggiungibile dalla coscienza umana.

Il sistema di tecniche della tradizione andina è stato conservato e tramandato oralmente da dopo la conquista spagnola fino al 1955 grazie ad una rete gerarchica bene organizzata di Paqos (“sacerdoti” praticanti della tradizione). Nel 1955 un’equipe di ricercatori universitari composta da antropologi, etnologi, musicologi, studiosi dei tessuti capeggiata dal Prof. Oscar Nunez del Prado parte per Q’ero per studiare questa comunità riconoscendo, al termine di un lungo lavoro di ricerca sul campo, che si trattava dell’ultima comunità Inca.

L’aspetto maggiormente utile della tradizione Andina è il sentiero iniziatico, molto semplice e pratico e proprio per questo eccezionalmente funzionale ed efficace. Un insieme di tecniche energetiche provenienti dalla civiltà millenaria delle Ande che producono nella persona un miglioramento delle condizioni psichiche, fisiche e spirituali, producono cioè benessere. Queste tecniche aiutano ad avere un collegamento diretto con la realtà mettendo in condizione il praticante di esprimere al massimo le potenzialità che ogni essere umano possiede e che, troppo spesso non riesce a manifestare, a tirare fuori, ad utilizzare.

Tutte le tecniche della Tradizione Andina sono basate sull’utilizzo dell’energia (come fanno tutte le tradizioni spirituali indigene delle Americhe) propria e di tutto ciò che ci circonda, con particolare riferimento al recupero di un profondo contatto con la natura. Apprenderle significa imparare a muovere questa energia, incanalarla in ciò che si vuole per migliorare se stessi, produrre una crescita interiore, generare un processo di evoluzione della coscienza e per vivere una vita felice.

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Per gli andini tutto ciò che circonda e che forma il nostro mondo è composto da energia vivente (Kausay) ed essa permea tutto il cosmo (Pacha). Ogni essere animato è parte di questo, i mari, le montagne, gli alberi, gli animali, l’uomo e la terra stessa, il sole la luna e i pianeti, tutto è in questo campo di energia eternamente connesso che noi sperimentiamo come separato, ma che possiamo riunire, in cui possiamo imparare a camminare. Kausay Puriy che in quechua significa “Camminare nel cosmo vivente” ovvero imparare a stabilire delle relazioni energetiche con gli elementi naturali e spirituali presenti nell’universo.

Questo è un efficace sistema per lo sviluppo personale in quanto tutte le tecniche andine sono spoglie di elementi ritualistici superflui e consentono di effettuare direttamente l’elaborazione personale coinvolta nelle differenti pratiche.

Per lavorare direttamente col principio alla base di tutto: l’energia, non occorre altro che essere nel “qui e ora”.

E’importante sottolineare che sulle Ande non esiste il concetto di energia “negativa” poiché la vita non nega mai, comunque nella loro praticità gli andini riconoscono che ci sono energie che si possono definire “scomode” che vengono chiamate “energie pesanti”. Secondo i maestri andini il kausay, l’energia vivente, è come l’acqua che quando fluisce è limpida e leggera ma quando il flusso si ferma diventa densa e sgradevole. Quando fluisce si chiama Samiy, energia fine e quando il flusso si ferma si parla di jucha, energia pesante, densa.

Tutto nella natura fluisce, nessuno deve spiegare ad un animale quale sia il suo posto nel cosmo o come relazionarsi con esso, l’unico che riesce a bloccare questo flusso di energia vivente è l’uomo. Tutti gli insegnamenti della tradizione hanno come obbiettivo quello di liberare l’uomo dell’energia pesante che genera e di mantenere fluido il flusso di energia vivente.

Il mondo materiale, la terra di cui è formato il pianeta è “Pachamama”, l’anima madre, il femminile sacro che ha il compito di nutrire i suoi figli, capace di trasformare ogni cosa in energia vitale, in grado di assorbire i cosiddetti scarti, l’energia pesante, reimmetterli nel ciclo, trasformati e rigenerati. Per questa tradizione non è possibile separare le manifestazioni della vita in positivo/negativo, bene/male ma solo in caos e/o armonia i quali possono generare energia pesante e/o energia fine e così quando un essere umano non è in armonia con il proprio ambiente l’energia si appesantisce, generando disarmonia e disequilibrio.

La tradizione andina che, come già detto, si distingue per la sua praticità, identifica sette livelli di consapevolezza che caratterizzano l’essere umano. Ogni livello non è separato dall’altro, ma, in un fluire, ogni grado di consapevolezza incorpora i livelli inferiori e possiede il seme per accedere al grado superiore.

I livelli servono per capire come si è vissuto nel passato, come si sta vivendo nel presente e come, in seguito ad una scelta personale consapevole, si potrebbe vivere in futuro: sono una “scala di misurazione dell’evoluzione”. Per essere riconosciuti ad un determinato livello occorre darne dimostrazione pratica e trattandosi di livelli di consapevolezza spesso si misurano con l’espansione dello stato di coscienza.

Il primo livello è quello dove si prende coscienza della propria identità e si diventa coerenti con se stessi indipendentemente dalle influenze esterne, questo livello è associato all’Uku Pacha (Mondo di sotto a cui sono collegati i bisogni primari) alle forze istintive elementari preposte alla conservazione dell’individuo e della specie che rispondono ai bisogni fisiologici di sopravvivenza e autoaffermazione. A questo livello di coscienza si trova l”ayllu paqo”, il praticante che si inserisce in un piccola comunità detta appunto Ayllu.

Al secondo livello si apprende che l’io del primo livello può estendersi e divenire un noi cioè s’impara a stabilire legami all’interno della famiglia o di un gruppo. Questo livello è collocato tra l’Uku Pacha e il Kay Pacha (Mondo di mezzo) ed è associato ai bisogni di sicurezza soddisfatti da elementi esterni come i genitori o il lavoro. Chi ha scoperto e realizzato un secondo livello, per esempio, può essere un padre o una madre di famiglia che si dedica interamente a quel nucleo al quale si sente legato da un sentimento di organicità consapevole di rinunce e conflitti che potrà incontrare. Il secondo livello può anche fiorire all’interno di un piccolo gruppo spirituale nel quale i membri condividono un’attitudine comune, sono leali e onesti fra loro.

Al terzo livello l’individuo prende coscienza delle esigenze di una comunità più grande, si prende cura di un gruppo più allargato, (potrebbe essere un capo di un partito politico o un cristiano devoto). In questo livello ci sono i monoteisti cioè coloro che riconoscono una sola entità metafisica, spesso ritenendo che la propria visione sia la sola verità e che tutti gli altri siano in errore. La caratteristica è che si è disposti a dedicare la vita affinché migliorino le condizioni del gruppo stesso con una predisposizione alla limitazione e all’esclusività nella visione del mondo riconoscendo il proprio gruppo come il migliore.

Al quarto livello si trova il Teqse Paqo cioè il paqo universale che trascende ogni religione, ogni simbolismo e ogni lotta per il controllo. I Sacerdoti andini di IV livello danno uguale valore a qualunque cerimonia religiosa. Ciò è possibile perché a questo livello di consapevolezza si realizza che, al di là dei significati simbolici delle religioni, esiste un’unica realtà e che maestri come Buddha e Gesù sono alleati non rivali. Questo è il livello del mistico, colui che ha il rapporto diretto con l’Assoluto e che è in grado di trascendere i sistemi simbolici e rituali.

Un Paqo di IV livello può essere iniziato ad altre tradizioni perché è identificato con tutta l’umanità e le sue manifestazioni culturali. I presupposti di questo grado di consapevolezza sono fondamentali per la crescita personale. Raggiungere il quarto livello significa avere una coscienza planetaria, accettare ed integrare tutte le razze e culture, le loro coscienze collettive dentro di sé. Il quarto è anche l’ultimo livello di cui si conosce la tecnica di apprendistato, fino ad ora si può essere iniziati solo a questi quattro livelli perché ne sono conosciute sia le caratteristiche specifiche che le modalità di raggiungimento

Esistono altri 3 livelli della tradizione che non si sono ancora manifestati e rappresentano un ulteriore evoluzione della coscienza, di questi si conoscono solo le capacità: per essere di quinto livello occorre avere la capacità di curare ogni genere di malattia senza alcuna eccezione con il solo tocco delle mani.

Il sesto livello è quello del “Sapa Inca” il titolo del sovrano dell’impero Inca, colui il quale, con il suo livello di elevazione spirituale, saprà coniugare la volontà con l’amore, fare da tramite per tutti gli altri esseri umani tra il mondo visibile e quello inconscio, raccogliere, riunire e ridistribuire con saggezza il potere spirituale e politico e riversare questa qualità all’esterno assumendo la capacità di brillare in pubblico ed in forma visibile per i circostanti. Siccome gli antichi testi sacri raccontano che anche personaggi come Zarathustra, Buddha, Mosè, Gesù, Maometto hanno brillato di luce propria in particolari momenti della loro vita si presume che questo livello di consapevolezza non sia un’invenzione andina.

Infine il settimo livello che potrebbe essere definito come lo stato di coscienza di Dio in terra.

Ayni è l’unico comandamento morale degli Inca: la sacra reciprocità. 

L’Ayni rispecchia, come tutte le pratiche andine, un principio cosmico di scambio, grazie al quale tutto cresce e si sviluppa. Riguarda il modo di essere e di relazionarsi col mondo regolato da un equilibrio nel dare e nel ricevere.

Per “camminare nel cosmo vivente” è necessario imparare ad interagire con le leggi universali, una delle quali spiega che qualunque tipo di energia venga inviata all’Universo, questi risponde rimandando al mittente la stessa quantità di energia notevolmente amplificata. In base a tale principio, se si inviano dei pensieri pesanti si riceveranno risposte conformi che si andranno a manifestare nella realtà quotidiana, mentre se ad esempio si chiede all’Universo di ricevere qualcosa di cui si ha realmente bisogno, questi provvederà, prima o poi a fornire tale risorsa.

Non importa ciò che si dice, ma soltanto l’intenzione e l’atteggiamento che vi è alla base di ogni azione.

Secondo il Maestro andino Don Benito Qoriwaman la vita stessa è Ayni: entriamo in questo mondo ricevendo la vita, l’anima (che per gli andini è la mente), lo spirito e un corpo che pesa qualche kilo e, alla fine del nostro percorso terreno restituiremo  la vita e la nostra anima alla comunità  e il corpo, aumentato di volume e peso, alla Pachamama e lo spirito che tornerà nell’Hanak Pacha  (il Mondo di Sopra).

Le differenze tra la visione occidentale e quella andina sta nel fatto che suddividere le proprie esperienze in positive e negative significa per l’individuo trattenere ciò che crede migliore e difendersi da ciò che crede peggiore intralciando così il processo dell’ Ayni e chiudendosi allo scambio. Considerando invece l’energia come fine e pesante, cambia il proprio rapporto verso la vita e si sviluppa l’attitudine a trasformare l’energia pesante affinchè diventi fine.

L’iniziazione alla norma morale e alla pratica dell’Ayni prende il nome di “Ayni Karpay” e può essere trasmessa da un Maestro ma anche semplicemente capendo l’Ayni attraverso un racconto e leggendo.

Alcune tecniche incaiche, le più interessanti, che riguardano la trasformazione dell’energia, sono particolari ed uniche e non ritrovabili in altre tradizioni. Siccome nel lavorare direttamente con l’energia il ruolo della mente è secondario, gli strumenti offerti dal misticismo andino permettono di trascendere i limiti culturali.

Guarda il video : La strada per Q’Ero: Un viaggio verso casa